Eccovi un estratto dal romanzo "La stirpe di Agortos" di Elisabeth Gravestone (pseudonimo della giovane scrittrice italiana Alessandra Paoloni).
Trama
Nell'incontaminata terra dell'Egucron, Agortos, uomo di acuto ingegno e spiccata sensibilità, stringe un patto con la Dea Natura giurando che, sia lui che i suoi discendenti, si impegneranno ad approfondire la conoscenza della parte mistica e magica di quel mondo inesplorato che li circonda. Saranno Anika e Airen, le sue figlie, le prime a dover far fronte a quella promessa. Separate da bambine, cresceranno in ambienti totalmente diversi: Airen come serva di Siderin, dispotico e spietato signore dei monti Atrùgeti, Anika nella sua casa natale a contatto con una natura misteriosa e incontaminata. Entrambe però sentiranno ben presto il richiamo di quel giuramento mantenutosi nel tempo, e nonostante le difficoltà e gli ostacoli che troveranno sul loro cammino, adempiranno al volere di Agortos preoccupandosi che le generazioni future mantengano vivo quel voto.
Prologo
Fu così che me ne andai in viaggio alla ricerca del Potere della Terra e fu così che venni a conoscenza della parte magica del mondo. Aprii per la prima volta gli occhi sull'Egucron. Osservai i moti del sole e della luna, il movimento delle fronde degli alberi e la crescita delle piante. Gli Dei ci avevano donato tutto ciò, e si manifestavano nei flutti dei ruscelli e tra i sibili del vento sussurrandomi verità alle quali gli uomini non volevano prestare ascolto. Il velo della realtà non può essere squarciato se non lo si desidera ardentemente. La Fede degli uomini è fragile ed effimera poiché la maggior parte di noi viene sedotta dall'inerzia e dal tedio, e l'uomo cessa di vivere nell'istante in cui si prosciuga in lui anche solo una misera goccia del suo entusiasmo. Temendo che ciò potesse accadere anche a me, dopo aver vagato per l'Egucron ed essere venuto a conoscenza che non siamo gli unici esseri ad abitarlo, strinsi un patto con la Natura pregando gli Dei che venisse accettato. Così tutta la mia vita, e quella di coloro nelle cui vene scorrerà il mio sangue, verrà consacrata alla scoperta e alla vigilanza del Potere naturale di cui il mondo è colmo. Non ci sarà uomo o donna che impedirà ai miei discendenti di seguire le mie orme, poiché verranno aiutati dal cielo e dalla terra e da tutto quello che li forma.
Io Agortos, che rinnegai mio padre e la mia famiglia per avventurarmi lungo le vie impervie del mondo, firmai quel giuramento col mio sangue. La mia stirpe ne verrà coinvolta, riconosceranno i segni poiché essi sono stati già tracciati sulla loro via. Non temeranno di seguirli, e semmai esitassero nel farlo la Natura manderà loro dei messaggeri che li aiuteranno a ritrovare la strada. Il destino del mondo è nelle nostre mani, s'intreccia con esso e ne dipende. Questo è il più grande mistero che l'uomo abbia mai ignorato.
DUE SORELLE
L’orizzonte era adombrato da un interminabile ordine d’alberi, e non permetteva alla vista umana di scorgere un breve sprazzo di cielo. La cortina di alberi alti dal fusto sottile formava un groviglio all’apparenza impraticabile che annientava ogni forma di coraggio, e dissuadeva chiunque tentasse di sfidare quell’intrico complesso di piante secolari. Riusciva a dissuadere chiunque, tranne Anika. Era uscita da casa presto quella mattina, non appena il sole aveva deciso di puntare di nuovo i suoi occhi sul mondo. Quello era il momento durante il quale ogni ombra si trasformava in cosa tangibile, i sogni rifuggivano come spettri e la realtà irrompeva fulminea.
Un gallo cantò in lontananza. Un piccolo stormo di uccelli si alzò in volo. Il soffio di un vento caldo le fischiò nelle orecchie, e Anika si sentì rinascere come parte di quel mondo di cui conosceva solo lo spazio circostante i colli Atrùgeti, perché mai vi era andata oltre. Si voltò a guardare il noce solitario che alla sua destra occupava, con il suo tronco tozzo e largo, un piccolo spiazzo annunciando così il bosco imminente. Lo salutò con un sorriso, come era solita fare, e parve che i rami ondeggiassero per ricambiarla. Una delle radici era fuoriuscita dal terreno, e Anika non si sarebbe meravigliata se il noce si fosse messo a camminare da un momento all’altro sulle sue gambe lunghe e contorte. “Gli alberi parlano e si muovono” queste parole ricorrevano ripetutamente sul manoscritto dalla copertina di pelle marrone che il padre le aveva lasciato, assieme ad altre svariate pergamene, come unica eredità. “Tutta la natura, dal più piccolo virgulto alla più grande delle rocce, vive davanti ai nostri ciechi occhi.”

Camminò indisturbata e in silenzio nella penombra; si arrestò solo quando le parve di udire un rumore alle sue spalle. Si mise in ascolto e le sembrò di udire degli zoccoli calpestare il terreno. Le vennero allora alla mente ancora parole di Agortos: “… e vidi creature composte da un corpo equino e busto umano”. Anika non sapeva cosa suo padre volesse dire esattamente con quelle parole, e poiché il rumore non si ripeté riprese a camminare convinta di averlo solo immaginato.Le ci volle del tempo prima di uscire dal tunnel ombroso. Avanzò svelta con le braccia strette al petto che sorreggevano una sacca intelaiata di stoffa bianca. I lunghi capelli biondi non le davano fastidio perché come ogni mattina li aveva raccolti in un drappo grigio fermato saldamente sulla testa da un fermaglio di citrino giallo brillante; era stato suo padre a donarle quella pietra tantissimo tempo prima.

Ierèa era da tempo malata. Quella notte, sconvolta dalla tosse e da terribili convulsioni, non aveva quasi chiuso occhio costringendo lei e Feude a organizzare lunghi e faticosi turni per assisterla. E proprio in compagnia di Feude l’aveva lasciata quella mattina, un’anziana donna vedova da tempo e senza figli che conosceva Ierèa da anni e che si era offerta di aiutare Anika in quel terribile momento. Sebbene Anika avesse studiato a fondo i libri di suo padre, non vi aveva trovato alcun rimedio per guarire Ierèa da una malattia della quale non conosceva neppure il nome, e nessun rimedio naturale l’avrebbe salvata. Anika lo sapeva. Nessun fiore o pianta o roccia della terra l’avrebbero guarita. Si arrestò di colpo quando aveva percorso già metà del tunnel naturale. Le parve di aver udito ancora uno scalpiccio tenue di zoccoli sul terreno. Si voltò: l’oscurità del tunnel rendeva il manto colorato solo un ricordo. Il rumore non si ripeté, e Anika si convinse di averlo di nuovo immaginato. Tornò allora a camminare: era certa sua madre la stesse aspettando già sveglia.
In realtà Ierèa quella mattina non avrebbe rivisto il giorno.Le immagini ispirate al romanzo sono state realizzate da ELISABETTA BALDAN.
Se volete avere maggiori informazioni sul libro, leggete questo post.
Stay Tuned! :)
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